Gino

Gino ha quasi 65 anni.
Da giovane fotteva le femmine e lavorava la terra sfondandosi, in maniera modesta, il culo.
Adesso le femmine sono morte ed il lavoro più pesante della giornata è farsi il bidet senza scambiare la candeggina per il sapone intimo.
A Gino piace tanto farsi bello con quel suo vestito blu scuro che indossava il giorno del matrimonio del fratello, un povero coglione ma tanto di cuore, ed uscire a fare una bella passeggiata, fumando sigarette dal nome esotico ("Pall Mall San Francisco, cazzo. Mica Diana Foggia!"), scrutando con malinconia la danza ritmica di giovani chiappe in carriera.
Bello felice, si accomoda sulla solita panchina, accavalla le gambe e lascia che il sole gli scaldi la pelle.
Qualche volta riflette anche, Gino, ma quella tristezza del cazzo che lo assale all'improvviso gli rovina tutto il gusto del momento, spingendolo a tornare a casa bestemmiando contro tutto e tutti.
Di solito la notte sogna qualcosa di molto figo ma, al risveglio, non ricorda mai una ceppa.
Di solito al centro commerciale corre per sembrare impegnato, ma il carrello resta sempre vuoto.
Di solito allo specchio quegli occhi che lo scrutano sembrano di qualche altro figlio di puttana, ma non i suoi.

Gino aspetta il treno alla fermata del bus, con una busta di plastica in mano e con quel bel vestito blu scuro.


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