L'ultimo degli uomini (2003) [REPOST]

Margaret Atwood | TEA

Margaret Atwood è una scrittrice canadese (classe 1939) atipica nel panorama della narrativa odierna. Le sue opere sono impregnate da una discreta componente fantascientifica (certamente sui generis) anche se, in svariate occasioni, l'autrice ha rimarcato con decisione la quasi totale estraneità da questo calderone di lettere, astronavi e disastri post apocalittici, preferendo seguire un percorso professionale e artistico sicuramente più libero e stimolante. Molti dei suoi romanzi danzano tra richiami apparentemente di genere contraddistinti da una solida caratterizzazione di personaggi e ambientazioni, miscelati con un vivace e ritmato stile narrativo. Inoltriamoci dunque nell'analisi di una delle sue opere più riuscite ed affascinanti: L'ultimo degli uomini.

L'ultimo degli uomini (il protagonista) è uno dei pochi sopravvissuti della razza umana, eletto a “Portatore della parola del padre Crake e della madre Oryx” da una tribù di uomini-fanciulli alquanto mutati/mutanti. Ma non sono solo i componenti di questo villaggio a essere “diversi”: strane combinazioni animali rendono ardua la vita del nostro che, spinto dal bisogno di cibo e oggetti di prima necessità, deciderà di tornare lì dove tutto ha avuto inizio, intraprendendo un viaggio per ricordare e riscoprire il proprio passato e per raccontare al lettore, attraverso innumerevoli flashback, tutte le vicende, le relazioni e le cause che hanno portato alla distruzione del mondo degli uomini.

Con grande perizia la Atwood da vita a personaggi palpabili e concreti, non lesinando mai nel raccontare retroscena pieni di quotidianità, frammenti di vita passata che permettono alla storia d'ampliarsi ed arricchirsi a dismisura. Attraverso i ricordi del protagonista scopriremo una grande storia d'amore e amicizia, che è alla base di tutto il racconto, un intreccio mai scontato o pateticamente sdolcinato, cosa questa non molto ricorrente in analoghe creazioni letterarie.

Ma il vero punto di forza del libro è, senza ombra di dubbio, la suggestiva ambientazione pennellata dalla scrittrice: un paradiso devastato ma pieno di vita nuova e selvaggia, dove l'uomo è l'elemento vecchio e fuori luogo, un feticcio obsoleto di una storia altra, già vissuta, già raccontata, già terminata. In un modo di merda. Il ritmo non viene mai meno anche se la Atwood si concede tutte le pause necessarie ad imbastire autentici momenti di tensione, vere perle di scrittura ed atmosfera.

Lo stile incisivo e descrittivo dell'autrice colpisce in pieno il bersaglio: intrattenere il lettore con materiale fantastico di qualità, senza ricorrere a pacchianate ridicole e inconcludenti (ehm, chi ha gridato "Emo Vampiri Che Non Trombano Ma Che Amano Sotto Il Radioso Sole Settembrino - Parte II"? Un applauso signori, un grande applauso! E tu, ragazzina in terza fila, rimettiti le mutandine e asciuga la poltrona!).

Sicuramente un'opera popolare ma non certo costosa carta per pulirsi il culo.

E scusate se è poco!


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