Bulimia videoludica.
Sono uno dei tanti consumatori che acquista una quantità industriale di videogiochi che mai avvierà (perché finirli è umanamente impossibile), accatastandoli in giro per casa e rimirandoli con uno sguardo colpevole ma lascivo. Non esiste offerta che possa sfuggire alla mia carta ricaricabile, una nuova edizione di un gioco già acquistato anni prima, mai provato ma "cazzo, questa versione non posso lasciarmela scappare!"
Cestoni delle offerte, sconti in digitale, qualche quintale di vecchie cartucce per sistemi obsoleti: tutto fa brodo e la voracità non passa, ma aumenta d'intensità, prepotente e prorompente nelle sue suadenti forme binarie. Accumulo perché "tanto ci giocherò", "domani mi faccio una full immersion da paura", "vita sociale addio".
I giorni calpestano i giorni, la vita reale sbrana ore su ore e sacrificare il sonno diventa troppo difficile, "che domani mattina, al lavoro, sembro un cazzo di zombie resuscitato male" e "tra bollette e spese varie è angoscia allo stato puro".
Eppure quelle cataste restano lì, pile di scatole con storie che mai vivrò, plastica colorata tanto bella da guardare ma orfana di ricordi personali, una lista interminabile di titoli a portata di un clic che mai avverrà, perché non ho saputo scegliere ma ho preferito lasciarmi ingozzare da comunicati, video, chiacchiericcio e sfrenato impulso consumistico.
Getto una veloce occhiata a tutta quella merce, accendo una sigaretta e "se mai mi verrà voglia avrò la possibilità di giocarci".
Crediamoci.
Crediamoci.
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